Ricerca di felicità o voglia di benessere?
L’ufficio che il progettista disegna e poi realizza ha a che fare con il senso della felicità più di quanto si possa credere. In ciò UP150 va verso la definizione di uno spazio più vicino al concetto di autorealizzazione, vediamo perché facendo un giro un po’ largo e suggestivo riguardo al concetto di Eudaimonia.
L’origine della parola “felicità” è latina e ha la stessa radice di fecundus che significa fertile e del verbo feo che si traduce con il termine produttivo. Questo ci fa intuire come il risultato della felicità deriva dal nostro miglior “agire”, dalle azioni con cui sviluppiamo, generiamo, diamo vita e produciamo le migliori creazioni.
Per la prima volta nella storia il concetto di felicità venne studiato dai greci e in particolare da Aristoppo e Aristotele. I due si distinguono per aver guardato alla felicità da due diversi punti di vista che ancora oggi esistono: l’edonismo di Aristoppo che sta a indicare il piacere derivato dall’assenza di dolore: l’eudaimonia di Aristotele che guarda invece alla felicità come espressione delle potenzialità individuali e la buona riuscita delle virtù.
Queste due prospettive sono state riprese e divenute centrali in più tempi moderni in ambito psicologico, e in particolare dal vasto e variegato movimento della Psicologia Positiva (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000), il cui scopo è occuparsi del benessere individuale e dello studio della qualità della vita.
Se il benessere di tipo edonico si rivolge prevalentemente al piacere personale anche basato su indicatori come il luogo dove si abita, il lavoro che si svolge o lo stato fisiologico in cui l’individuo si trova, ecco che con il concetto aristotelico di eudaimonia si deve intendere ciò che è utile all’individuo perché ne arricchisce la personalità. Su questo si sono sviluppati altri studi e analisi specifiche rivolti a quei momenti capaci di favorire lo sviluppo e la realizzazione delle potenzialità individuali, come il soddisfacimento delle aspirazioni, l’autorealizzazione, in sostanza l’espressione dell’autentica natura umana.
E’ importante porre l’accento sul fatto che l’eudaimonia guarda alla soddisfazione individuale, anche come integrazione con il mondo circostante. Per questo il suo campo semantico è molto più ampio del termine di “felicità”- spesso considerato erroneamente analogo. Il benessere eudaimonico si svela in un processo di interazione con l’ambiente e dalla realizzazione della felicità individuale nell’ambito di spazio sociale.
Il senso che attribuiamo a ciò che facciamo
Tonando all’origine del termine secondo Aristotele, Eudaimonia è lo scopo della vita di ciascun uomo. Eu sta per bene e daimon significa demone. In pratica l’eudaimonia serve a determinare la buona riuscita del proprio demone attraverso la virtù, intesa come capacità di fare bene qualcosa, (dal greco aretè), e dunque della competenza.
Sono dunque le azioni che si compiono e che sono in sintonia con il nostro “io” a condurre alla felicità eudemonica o buona autorealizzazione. Una saggezza pratica non solo interiore, ma che ha una dimensione sociale, contestuale e culturale.
Il concetto di eudaimonia può essere simbolicamente paragonato all’ultima definizione di salute formalizzata dall’OMS comprende, contemporaneamente, il benessere fisico, psicologico e sociale e che identifica con la definizione di: “uno stato di benessere in cui l’individuo realizza le proprie capacità, può gestire le normali situazioni di stress della vita, può lavorare produttivamente ed è in grado di contribuire attivamente alla propria comunità” (OMS; 2004, 12).
Non è quindi da confondere con la felicità individuale ma è un benessere personale integrato e imprescindibile dal contesto in cui ci si trova. In fondo, la possibilità di attribuire un significato a ciò che facciamo deriva, innanzitutto, dalla possibilità di inserirlo in un contesto sovraordinato.
In questi termini è possibile ripensare alla ricerca di senso, ingrediente essenziale della felicità, non è solo una ricerca interiore, ma ha una dimensione sociale e il lavoro può essere un’esperienza chiave.
Il contesto ambientale, lavorativo e sociale in cui operiamo può arricchire o al contrario impoverire il nostro scopo e cambiare la percezione che abbiamo delle nostre azioni individuali.
Ecco perché è necessario intervenire sia a livello fisico che culturale per promuovere modalità innovative di progettazione e di gestione del lavoro, che siano sempre più in linea con la “ricerca di senso” che sempre più diffusamente, insieme all’autorealizzazione sulla punta della piramide di Maslow, viene oggi considerata una esigenza umana fondamentale.
Psicologia positiva e movimento
La Psicologia Positiva, ha origine dalla volontà del suo stesso fondatore, Martin Seligman di indirizzare gli sforzi della psicologia verso gli aspetti della vita più produttivi e appaganti, considerando per la prima volta la differenza che esiste tra malattia mentale, cioè un cattivo funzionamento del cervello e salute mentale, da intendersi più come una situazione di benessere ed equilibrio psico-fisico, di buona gestione delle emozioni e dei sentimenti e della consapevolezza del proprio potenziale dei propri limiti.
Uno dei principali pregi della PP è quello di aver sollevato il problema della complessità del concetto di salute evidenziando la necessità di una stretta interdipendenza tra le diverse discipline che si occupano di salute, come: la medicina, la psicologia, la sociologia e l’antropologia.
Sono, infatti, molteplici le ricerche in grado di testimoniare che, le persone felici, vantano migliori condizioni di salute, sono maggiormente creative e soddisfatte del proprio lavoro, hanno un’intensa vita sociale e grande successo nella vita.
E’ più facile concentrarsi sull’emergenza ma per fortuna negli ultimi tempi si è spostata l’attenzione sulla prevenzione e la minimizzazione degli effetti per evitare la nascita del disturbo anziché l’intervento a posteriori. Questo approccio ha considerato il benessere nel suo senso più ampio di inclusione della sfera individuale e sociale dando origine al concetto di salute positiva.
La creatività è un aspetto dipendente dalle emozioni positive, così come la nostra capacità intellettiva in generale e le prestazioni psicofisiche di base. Laddove siamo contenti anche questi fattori migliorano ma non solo. Quando siamo in questo stato abbiamo anche maggiori risorse per affrontare al meglio ogni situazione sapendo discernere le minacce dalle opportunità.
Quando ci troviamo in uno stato d’animo positivo, la nostra corteccia visiva, che è la parte del nostro cervello responsabile della visione, si attiva in misura maggiore processando un più alto numero di informazioni e per questo motivo siamo perfino in grado di percepire con più attenzione ciò che c’è intorno a noi. Lo ha dimostrato uno studio realizzato all’Università di Toronto che ha rilevato il notevole impatto che un atteggiamento positivo ha sulla nostra capacità di cogliere gli elementi della realtà agendo direttamente sulla nostra visione periferica che si espande e, di conseguenza, coglie elementi che altrimenti in altre condizioni non riusciremmo ad osservare.
Gli uffici, luoghi dove l’ingaggio del pensiero attentivo è prevalente, necessitano quindi di microambienti rigenerativi, ricchi di stimoli multisensoriali che aprono ad una attenzione diffusa, libera e aperta, capace di rimanere tale anche in presenza di piccole distrazioni.
Ideale per tale ambientazioni è l‘architettura (biofilica) capace di riprodurre situazioni armoniose dal punto di vista visivo, tattile e acustico, e anche propriocettivo (considerato ormai il sesto senso).
Non solo la postura corretta, come le prescrizioni minime in materia di sicurezza e ergonomia impongono, ma anche il movimento coordinato e misurato, che duri anche pochissimi minuti, unito ad altre stimolazioni sensoriali effimere, aiuta a controbilanciare le cronicità muscolo-scheletriche ed il disagio mentale. Nel continuum mente–corpo che già gli antichi professavano, tanto da predicare il motto di Giovenale mens sana in corpore sano, il benessere fisico è strettamente collegato a quello intellettuale ed emotivo, e numerosi sono gli studi danno prova di quanto gli antichi avessero ragione.
Un articolo del 2018 sostiene infatti che una prolungata limitazione del movimento (come subita dagli astronauti in missione nello spazio) può influenzare il sistema nervoso ed inficiare il metabolismo del cervello, oltre che l’intero sistema metabolico.
Poter fare movimento attiva il fisico e influisce enormemente sui nostri processi mentali. Il potenziale intrinseco di cui si parlava in apertura, è determinato anche da come e quanto ci muoviamo.
Un ufficio progettato seguendo le necessità umane e le esigenze del mondo del lavoro in questo senso può favorire la ricerca dell’auto-affermazione. Le une non devono essere contrapposte alle altre poiché il benessere mentale attinge dal benessere fisico, insieme espandono sia le potenzialità dell’individuo sia le sue capacità sociali.